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Ranke, Leopold von: Die römischen Päpste. Bd. 3. Berlin, 1836.

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Instruttione

mente la corona di Spagna: et perche le parole s'accompagnas-
ser con i fatti, portava di cio amplissimo mandato in sua per-
sona da poter risolver tutto o con Don Ugo o con el vicere, se al
tempo che ci capitava, in Italia fussi arrivato. Quanto qui fussi
il nostro contento, non si potrebbe esprimere, e ci pareva un'
hora mill' anni venire all' effetto di qualche sorte d'accordo ge-
nerale di posar l'arme: et sopragiungendo quasi in un mede-
simo tempo il vicere et mandandoci da San Steffano, dove
prima prese porto in questo mare, per el comandante Pignatosa
a dire le miglior parole del mondo et niente differenti da quanto
ci haveva detto el generale, rendemmo gratie a iddio che il
piacere che havevamo preso per l'ambasciata del generale non
fusse per havere dubbio alcuno, essendoci confermato il mede-
simo per il signor vicere, il quale in farci intendere le com-
missioni dell' imperatore ci confortava in tutto, et pur ci mandava
a certificare che nessuno potrebbe trovarsi con migliore volunta
di mettersi ad eseguirle. Hora qualmente ne succedesse il contra-
rio, non bisogna durare molta fatica in dirlo, non essendo al-
cun che non sappia le durissime, insoportabili et ignominiose
conditioni che ne furono dimandate da parte del vicere, non
havendo noi posta dimora alcuna in mandarlo a pregare che
non si tardasse a venire alla conditione di tanto bene. Et
dove noi pensavamo ancora trovar meglio di quel che ne era
stato detto, essendo l'usanza di farsi sempre riservo delle mi-
gliori cose per farle gustare piu gratamente, non solo ci riusci
di non trovare niente del proposto, ma tutto il contrario, et
prima: non havere fede alcuna in noi, come se nessuno in ve-
rita possa produrre testimonio in contrario; et per sicurta do-
mandarci la migliore et piu importante parte dello stato nostro
et della Sria di Fiorenza, dipoi somma di denari insoporta-
bile a chi havesse havuto i monti d'oro, non che a noi, che
ogn'uno sapeva che non havevamo un carlino; volere che con
tanta ignominia nostra, anzi piu dell' imperatore, restituissimo
coloro che contra ogni debito humano et divino, con tanta tra-
dizione, vennero ad assalire la persona di N. Signore, saccheg-
giare la chiesa di San Pietro, il sacro palazzo; stringerne senza
un minimo rispetto a volere che ci obbligassimo strettamente di
piu alla Mta Cesarea, sapendo tutto il mondo quanto desiderio
ne mostrammo nel tempo che eravamo nel piu florido stato che
fussimo mai, et, per non dire tutti gli altri particulari, volere
che soli facessimo accordo, non lo potendo noi fare se vole-
vamo piu facilmente condurre a fine la pace universale per la
quale volevamo dare questo principio. Et cosi non si potendo
il vicere rimuoversi da queste sue dimande tanto insoportabili
et venendo senza niuna causa ad invader lo stato nostro, ha-
vendo noi in ogni tempo et quei pochi mesi inanzi lasciato
stare quello dell' imperatore nel regno di Napoli, accadde la
venuta di Cesare Fieramosca: il quale trovando il vicere gia
nello stato della chiesa, credemmo che portasse tali commis-
sioni da parte dell' imperatore a S. Sria che se si fossero ese-

Instruttione

mente la corona di Spagna: et perche le parole s’accompagnas-
ser con i fatti, portava di cio amplissimo mandato in sua per-
sona da poter risolver tutto o con Don Ugo o con el vicerè, se al
tempo che ci capitava, in Italia fussi arrivato. Quanto qui fussi
il nostro contento, non si potrebbe esprimere, e ci pareva un’
hora mill’ anni venire all’ effetto di qualche sorte d’accordo ge-
nerale di posar l’arme: et sopragiungendo quasi in un mede-
simo tempo il vicerè et mandandoci da San Steffano, dove
prima prese porto in questo mare, per el comandante Pignatosa
a dire le miglior parole del mondo et niente differenti da quanto
ci haveva detto el generale, rendemmo gratie a iddio che il
piacere che havevamo preso per l’ambasciata del generale non
fusse per havere dubbio alcuno, essendoci confermato il mede-
simo per il signor vicerè, il quale in farci intendere le com-
missioni dell’ imperatore ci confortava in tutto, et pur ci mandava
a certificare che nessuno potrebbe trovarsi con migliore voluntà
di mettersi ad eseguirle. Hora qualmente ne succedesse il contra-
rio, non bisogna durare molta fatica in dirlo, non essendo al-
cun che non sappia le durissime, insoportabili et ignominiose
conditioni che ne furono dimandate da parte del vicerè, non
havendo noi posta dimora alcuna in mandarlo a pregare che
non si tardasse a venire alla conditione di tanto bene. Et
dove noi pensavamo ancora trovar meglio di quel che ne era
stato detto, essendo l’usanza di farsi sempre riservo delle mi-
gliori cose per farle gustare piu gratamente, non solo ci riuscì
di non trovare niente del proposto, ma tutto il contrario, et
prima: non havere fede alcuna in noi, come se nessuno in ve-
rità possa produrre testimonio in contrario; et per sicurtà do-
mandarci la migliore et piu importante parte dello stato nostro
et della Sria di Fiorenza, dipoi somma di denari insoporta-
bile a chi havesse havuto i monti d’oro, non che a noi, che
ogn’uno sapeva che non havevamo un carlino; volere che con
tanta ignominia nostra, anzi piu dell’ imperatore, restituissimo
coloro che contra ogni debito humano et divino, con tanta tra-
dizione, vennero ad assalire la persona di N. Signore, saccheg-
giare la chiesa di San Pietro, il sacro palazzo; stringerne senza
un minimo rispetto a volere che ci obbligassimo strettamente di
piu alla M Cesarea, sapendo tutto il mondo quanto desiderio
ne mostrammo nel tempo che eravamo nel piu florido stato che
fussimo mai, et, per non dire tutti gli altri particulari, volere
che soli facessimo accordo, non lo potendo noi fare se vole-
vamo piu facilmente condurre a fine la pace universale per la
quale volevamo dare questo principio. Et così non si potendo
il vicerè rimuoversi da queste sue dimande tanto insoportabili
et venendo senza niuna causa ad invader lo stato nostro, ha-
vendo noi in ogni tempo et quei pochi mesi inanzi lasciato
stare quello dell’ imperatore nel regno di Napoli, accadde la
venuta di Cesare Fieramosca: il quale trovando il vicerè gia
nello stato della chiesa, credemmo che portasse tali commis-
sioni da parte dell’ imperatore a S. Sria che se si fossero ese-

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[258/0270] Instruttione mente la corona di Spagna: et perche le parole s’accompagnas- ser con i fatti, portava di cio amplissimo mandato in sua per- sona da poter risolver tutto o con Don Ugo o con el vicerè, se al tempo che ci capitava, in Italia fussi arrivato. Quanto qui fussi il nostro contento, non si potrebbe esprimere, e ci pareva un’ hora mill’ anni venire all’ effetto di qualche sorte d’accordo ge- nerale di posar l’arme: et sopragiungendo quasi in un mede- simo tempo il vicerè et mandandoci da San Steffano, dove prima prese porto in questo mare, per el comandante Pignatosa a dire le miglior parole del mondo et niente differenti da quanto ci haveva detto el generale, rendemmo gratie a iddio che il piacere che havevamo preso per l’ambasciata del generale non fusse per havere dubbio alcuno, essendoci confermato il mede- simo per il signor vicerè, il quale in farci intendere le com- missioni dell’ imperatore ci confortava in tutto, et pur ci mandava a certificare che nessuno potrebbe trovarsi con migliore voluntà di mettersi ad eseguirle. Hora qualmente ne succedesse il contra- rio, non bisogna durare molta fatica in dirlo, non essendo al- cun che non sappia le durissime, insoportabili et ignominiose conditioni che ne furono dimandate da parte del vicerè, non havendo noi posta dimora alcuna in mandarlo a pregare che non si tardasse a venire alla conditione di tanto bene. Et dove noi pensavamo ancora trovar meglio di quel che ne era stato detto, essendo l’usanza di farsi sempre riservo delle mi- gliori cose per farle gustare piu gratamente, non solo ci riuscì di non trovare niente del proposto, ma tutto il contrario, et prima: non havere fede alcuna in noi, come se nessuno in ve- rità possa produrre testimonio in contrario; et per sicurtà do- mandarci la migliore et piu importante parte dello stato nostro et della Sria di Fiorenza, dipoi somma di denari insoporta- bile a chi havesse havuto i monti d’oro, non che a noi, che ogn’uno sapeva che non havevamo un carlino; volere che con tanta ignominia nostra, anzi piu dell’ imperatore, restituissimo coloro che contra ogni debito humano et divino, con tanta tra- dizione, vennero ad assalire la persona di N. Signore, saccheg- giare la chiesa di San Pietro, il sacro palazzo; stringerne senza un minimo rispetto a volere che ci obbligassimo strettamente di piu alla Mtà Cesarea, sapendo tutto il mondo quanto desiderio ne mostrammo nel tempo che eravamo nel piu florido stato che fussimo mai, et, per non dire tutti gli altri particulari, volere che soli facessimo accordo, non lo potendo noi fare se vole- vamo piu facilmente condurre a fine la pace universale per la quale volevamo dare questo principio. Et così non si potendo il vicerè rimuoversi da queste sue dimande tanto insoportabili et venendo senza niuna causa ad invader lo stato nostro, ha- vendo noi in ogni tempo et quei pochi mesi inanzi lasciato stare quello dell’ imperatore nel regno di Napoli, accadde la venuta di Cesare Fieramosca: il quale trovando il vicerè gia nello stato della chiesa, credemmo che portasse tali commis- sioni da parte dell’ imperatore a S. Sria che se si fossero ese-

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Zitationshilfe: Ranke, Leopold von: Die römischen Päpste. Bd. 3. Berlin, 1836, S. 258. In: Deutsches Textarchiv <https://www.deutschestextarchiv.de/ranke_paepste03_1836/270>, abgerufen am 25.11.2024.